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Risoluzione n. 162167

Per opportuna informazione e diffusione, si porta a conoscenza il contenuto della nota del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, n. 12349 del 21-8-2015, con la quale l’Amministrazione in parola ha risposto al parere della scrivente Direzione n. 94162 del 17-6-2015.

In particolare con la citata nota n. 94162, la scrivente ha chiesto all’Agenzia delle Dogane, al Ministero dell’Interno, al Ministero delle Politiche Agricole e al Ministero della Salute, per gli eventuali profili di competenza, chiarimenti in merito alla possibilità per un’azienda agricola che produce in proprio liquori utilizzando i frutti prodotti direttamente sul fondo agrario, di rivenderli tramite commercio elettronico. Questo in quanto nel quesito pervenuto per e-mail è stato chiesto alla scrivente se tale vendita possa essere effettuata nel rispetto del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 o se debbano essere espletati ulteriori adempimenti previsti da diversa normativa e se i titolari di imprese agricole possano ritenersi implicitamente in possesso dei requisiti professionali ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

Per quanto di propria competenza, con la nota n. 94162, la scrivente Direzione ha precisato quanto di seguito si riporta. In via preliminare ha precisato che l’attività commerciale svolta nella rete Internet mediante l’utilizzo di un sito web (e-commerce), ove sia svolta nei confronti del consumatore finale, è soggetta alla disciplina dell’articolo 18 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, così come modificato e integrato dall’articolo 68 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e dal successivo decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147. Tali disposizioni, però, non trovano integralmente applicazione ad una serie di soggetti che pur potendo vendere ai consumatori finali non sono dettaglianti, ovvero tutti quei soggetti che non rientrano nella definizione di commercio al dettaglio indicata dall’articolo 4, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 114 del 1998, tra i quali anche gli imprenditori agricoli. Ciò significa che se l’azienda che intende vendere i liquori che produce è un’azienda agricola regolarmente iscritta al Registro delle Imprese, l’attività di vendita è disciplinata dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, il cui articolo 4, comma 4-bis dispone che “La vendita diretta mediante il commercio elettronico può essere iniziata contestualmente all’invio della comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione”. In tal caso l’azienda in questione è tenuta esclusivamente ad inviare una comunicazione che, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 4, oltre alle indicazioni delle generalità del richiedente, dell’iscrizione nel 2 registro delle imprese e degli estremi di ubicazione dell’azienda, deve contenere la specificazione dei prodotti di cui s’intende praticare la vendita e delle modalità con cui si intende effettuarla, ivi compreso il commercio elettronico.

Il successivo comma 5 del medesimo decreto legislativo dispone altresì che “La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”. Ciò significa che, ai sensi della normativa vigente, l’impresa agricola può vendere anche prodotti derivati, ottenuti dalla manipolazione e trasformazione dei propri prodotti agricoli, fermo restando, ovviamente, il rispetto dei requisiti igienico-sanitari prescritti per dette attività.

Con riferimento alla questione del possesso dei requisiti professionali ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo n. 59 del 2010 la scrivente ha precisato quanto segue. Ha richiamato il comma 1 dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 228 del 2001, il quale dispone che “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”; al successivo comma 7 dispone che “Alla vendita diretta disciplinata dal presente decreto continuano a non applicarsi le disposizioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114”; al comma 8, infine, nel testo attualmente vigente che “Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori agricoli individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo 114 del 1998”.

Dal combinato disposto delle norme citate risulta espressamente che i produttori agricoli sono legittimati a vendere anche prodotti non provenienti dai propri fondi, purché in misura non prevalente. Al fine dell’individuazione dei limiti di detta attività aggiuntiva occorre fare riferimento, però, anche alla disposizione contenuta nel citato comma 8; ne consegue, quindi, che è l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non ottenuti nella propria azienda, che supera in tal caso il significato analitico del termine prevalente: il medesimo ammontare deve, infatti, comunque rientrare anche nei limiti di importo fissati, per le diverse tipologie di imprese, dal suddetto comma. E’ indispensabile, pertanto, rimanere entro certi limiti (sia quelli percentuali, relativi alla prevalenza, che quelli assoluti, relativi ai ricavi) poiché superare i medesimi comporta il passaggio dell’attività di imprenditore agricolo a quella di esercente al dettaglio, nelle differenti forme di vendita e con i relativi adempimenti previsti per lo svolgimento dell’attività commerciale, con la conseguente applicabilità delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, tra le quali anche l’obbligatorietà del possesso dei requisiti professionali per il commercio alimentare al dettaglio di cui al citato articolo 71, comma 6, del decreto legislativo n. 59 del 2010.

Fermo quanto sopra, con specifico riferimento alla possibilità, da parte di un imprenditore agricolo, di trasformare e poi porre in vendita liquori a base alcolica, la scrivente Direzione ha chiesto il parere delle altre citate Amministrazioni per i relativi profili di competenza. 3 Il Ministero dell’Interno, con la nota in premessa citata, ha fornito le indicazioni di competenza che di seguito si riportano. “Al riguardo, si rappresenta che la materia degli alcolici è soggetta alla legislazione di pubblica sicurezza limitatamente ai casi della loro vendita o somministrazione presso esercizi pubblici, ai sensi dell’art. 86 TULPS e delle connesse disposizioni (oltreché per il divieto di vendita ambulante, ai sensi dell’art. 87).

Quanto alla vendita on-line quest’Amministrazione non rileva controindicazioni di principio, né particolari profili di competenza. Si ricordano, tuttavia, tra le disposizioni che disciplinano la vendita di alcolici, quelle contenute nell’art. 7 del D.L. n. 158/2012 nonché la previsione dell’art. 689 cod. pen., entrambe intese alla tutela della salute dei minori. Quanto alla prima, essa ha introdotto nella legge quadro 30.3.2001, n. 125, in materia di alcol e di problemi alcolcorrealti, il nuovo art. 14-ter, che reca un divieto, assistito da sanzione amministrativa, riguardante tanto la vendita per asporto che per il consumo sul posto (somministrazione) nei confronti dei minori di anni 18. La previsione penale contenuta nell’art. 689 c.p., punisce invece, ad avviso di quest’Ufficio, le stesse condotte quanto eseguito nei confronti di minori di anni 16. Come è noto quest’Ufficio, confortato da un parere reso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, ha sostenuto l’interpretazione per cui detto art. 689 deve ritenersi riferito a qualsiasi ipotesi di vendita di alcolici, indifferentemente se per il consumo sul posto o per asporto, eseguita nei confronti di minori di anni 16, mentre la stessa vendita o somministrazione è sanzionata ai sensi del nuovo art. 14-ter della legge 30.3.2001, n. 125, se eseguita nei confronti di minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Va ricordato, in proposito, che lo stesso art. 7 del D.L. n. 158/2012, comma 3-ter, estende la pena prevista per la violazione dell’art. 689 cod. pen. all’ipotesi in cui la condotta illecita sia eseguita mediante distributori automatici “che non consentano la rilevazione dei dati anagrafici degli utilizzatori mediante sistemi di lettura ottica dei documenti”.

L’ordinamento, dunque, da un lato impone i divieti chi si è fatto cenno e dall’altro fa obbligo all’esercente di accertare la maggiore età dell’acquirente, salvo che non sia manifesta, mediante la esibizione di un documento di identità, e ciò quale che sia la modalità con cui la vendita degli alcolici viene eseguita. Tale principio non può non ritenersi valido anche in caso di vendita di alcolici attraverso la rete Internet.

Appare, pertanto, evidente che l’eventuale mera indicazione su un modulo da compilare on line dei dati anagrafici dell’acquirente, che il venditore non può verificare in alcun modo, né immediatamente né successivamente (trattandosi di dati personali), né ha alcun interesse a farlo, non corrisponde minimamente alle prescrizioni di legge ricordate.

Perciò, fatte salve le eventuali indicazioni che codesto Dicastero o quello della Salute dovessero diramare sul punto, è opinione di quest’Ufficio che debba essere richiesto al consumatore che acquisti alcolici attraverso la rete Internet, quantomeno l’invio, con posta elettronica, della 4 fotocopia, scansionata con scanner, del proprio documento di identità, con una dichiarazione, resa sotto la propria responsabilità, che ne attesti l’autenticità”.

  • Fonte Mise – Ministero dello Sviluppo Economico